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A gestire l’arte italiana arrivano gli stranieri

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La meritocrazia e la globalizzazione giustificano la scelta. Fallisce la classe dirigente italiana che non ha saputo formare esperti a pari livello o semplicemente fallisce per la mancanza del rispetto che andava dato alle competenze di casa nostra?

L’Italia è vista dal mondo come uno dei paesi più ricchi per siti storici e opere d’arte di varia natura. Molto del turismo italiano è proprio interessato agli aspetti artistici del nostro paese. Vi sono poche culture che hanno iniziato oltre più di due mila anni fa a creare beni artistici che oggi fanno la storia dell’arte disegnando un percorso di evoluzione umana.

C’era la necessità di nominare nuovi direttori a capo di importanti siti e strutture museali e l’Italia, il Ministero preposto, ha scelto molte figure straniere per gestire importanti patrimoni storico artistici.

In una logica di globalizzazione e di meritocrazia non solo c’è l’obbligo di assumere la figura maggiormente competente a tutela dei patrimoni che ci si augura inalienabili per il loro valore storico, c’è però anche da considerare che l’Italia – culla di tanta arte – da qualche parte abbia fallito se, ripetiamo se, mancano professionisti adeguati a ricoprire certi ruoli direzionali.

Molte menti italiane fuggono all’estero per trovare un lavoro che consenta loro di crescere e di dimostrare il loro valore. Questo capita in ambito medico, ingegneristico e in altri settori dove la ricerca, e quindi le strutture adeguate, sono basilari.
Per quanto concerne l’arte al nostro paese non manca proprio nulla essendo esso stesso il custode dei beni da studiare, preservare e continuare a presentare al mondo.

Non si capisce quindi come l’Italia sia stata incapace di formare una classe dirigente per gestire il patrimonio artistico dislocato fra siti, palazzi d’arte e musei. Volendo pensare male c’è da immaginare che questa necessità derivi dall’affidare a persone estranee ai giochi di palazzo il vero potere direzionale spesso messo a dura prova dalla politica italiana, locale e non, e da quei tecnici che sopravvivono al susseguirsi dei governi e diventano i veri gestori delle varie realtà.

In un’intervista il Professor Sgarbi ha manifestato tutta la sua indignazione per una scelta che ritiene illogica, mancante di quel rispetto e di quella tutela delle italiche competenze.
Concordiamo con l’opinione di Sgarbi limitandoci a un augurio, ossia che questo cambiamento possa veramente portare rigore e l’inflessibile managerialità straniera in un apparato di gestione artistica che spesso cigola e non si allinea con il valore dei propri patrimoni piangendo delle finanze irrisorie a fronte di entrate sottovalutate e non in linea con quanto si può ammirare e anche per il tempo che si può rimanere nei siti e nei musei.

Se degli stranieri sono venuti a governare diversi siti d’arte italiani è anche vero che molti italiani sono ai massimi vertici di organizzazioni, multinazionali e quant’altro nel resto del mondo.

la speranza è che l’unico vero vincitore sia il nostro patrimonio artistico che deve essere tutelato, protetto e valorizzato.

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