Nel dibattito politico è ritornata la questione della riduzione delle tasse tramite un’aliquota unica al 20% percento, la Flat Tax.
Una proposta recente che è stata fatta è quella dell’aliquota unica al 20%, la Flat Tax, il cui scopo è rilanciare i consumi, gli investimenti, l’economia e ridurre l’evasione fiscale. Il ragionamento è semplice: chi paga meno tasse è meno propenso a evadere ed è più propenso a spendere, investire, assumere. Questa sarebbe un’ottima mossa per rilanciare l’economia.
Ora siamo in una situazione piuttosto difficile: con un debito pubblico molto alto e una spesa pubblica che è difficile ridurre drasticamente, una riduzione delle tasse provocherebbe una diminuzione importante del gettito fiscale. Sul lungo periodo rilancerebbe l’economia e avrebbe effetti positivi sul tessuto economico e sociale. Sarebbe una misura di equità sociale.
Ma sul breve periodo, come è possibile far fronte alla drastica riduzione del gettito fiscale? Ricordiamo che l’economia italiana ha superato anni burrascosi e fatichiamo ancora a vedere l’uscita dalla crisi. I vincoli europei e internazionali non permettono al governo italiano di agire sempre come vuole. La nuova Commissione Europea vuole attuare un piano ambizioso di rilancio dell’economia europea, ma ancora non sono state trovate tutte le coperture necessarie.
Il conflitto qui è tra due concezioni antitetiche del funzionamento dell’economia e di come le organizzazioni statali e internazionali possono intervenire nelle questioni economiche. Se desideriamo l’intervento dello stato e dell’Unione Europea per rilanciare l’economia, è difficile contemporaneamente ridurre le tasse, perché un intervento maggiore necessita di ingenti risorse economiche reperibili in gran parte con l’aumento della pressione fiscale.
Se invece puntiamo alla drastica riduzione della pressione fiscale, bisogna anche avere meno stato: rendere la burocrazia più snella e meno numerosa, delegare al settore privato molti dei compiti che attualmente sono gestiti dallo stato, quindi sottoporre alle leggi del mercato ambiti finora protetti dalla concorrenza. Questo è fattibile solo andando a intervenire contro poteri consolidati che opporranno una strenua resistenza a ogni cambiamento.
Più che altro serve un cambiamento di mentalità nell’Unione Europea nel suo insieme. In questi giorni si parla molto di Google e del presunto monopolio che avrebbe. A parte il fatto che l’antitrust europeo non può intervenire che in presenza di un abuso di posizione dominante, molti sembrano non capire che lo sviluppo dell’economia digitale è più importante delle tasse che si vogliono far pagare all’economia digitale.
L’economia digitale è innovazione, e l’innovazione è il futuro. Allo stesso tempo, abbassare la pressione fiscale è un’ottima prospettiva per le aziende e per i lavoratori, perché potrebbe rilanciare l’economia italiana. Coordinare la fiscalità a livello europeo potrebbe essere una soluzione. Ma rimangono due problemi da risolvere: non si tagliano le tasse senza tagliare la burocrazia e senza delegare molte funzioni statali ai privati, e poi bisogna gestire il periodo di transizione in cui il gettito fiscale è inferiore a ciò che è necessario per far funzionare l’apparato statale e mantenere gli impegni finanziari internazionali.
Se pare impossibile far quadrare il cerchio, bisogna anche dire che le decisioni a livello nazionale, europeo e globale sono prese da persone che possono anche cambiare le regole del gioco. Ciò richiede un cambiamento di mentalità e il sostegno a soluzioni innovative. Quantomeno spero che il fatto di parlare di queste cose alimenti il dibattito e che si finisca per trovare una soluzione positiva per l’Italia, per l’Unione Europea e per l’economia globale.
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